Strage di curdi nel tir sigillato, ecco come Repubblica raccontò la vicenda

di , Martedì, 01 Settembre 2015

La cronaca di fine agosto del 2002 mostrò l’orrore di una tragedia della disperazione. Giovani profughi curdi-iracheni furono rinvenuti morti in un TIR nell'area di servizio di Mirabella Eclano dell'autostrada Napoli- Bari. Non fu facile far rientrare quelle salme nella loro patria, dopo l'autopsia rimasero per intere settimane nella cella frigorifero dell'obitorio dell'ospedale Frangipane, una accanto all'altra. Una triste vicenda che si sbloccò solo dopo una forte presa di posizione da parte di Giovanni Maraia e Antonio Ninfadoro e alle varie forze sindacali.

Città di Ariano vuole ricordare quella vicenda attraverso l’intensa cronaca giornalistica di Giovanni Marino, firma di Repubblica, inviato in Irpinia in quei giorni, e vice- caporedattore della redazione napoletana.

LA REPUBBLICA dal nostro inviato GIOVANNI MARINO

MIRABELLA Eclano - Il viaggio della speranza è senza ritorno. Non c' è un filo d' aria nella pancia del tir che da quasi ventiquattro ore nasconde nove curdi. Nove profughi che sognano la Germania, l' Occidente, una vita che valga la pena di essere vissuta. Nove giovani uomini che hanno pagato cinquecento dollari a testa quel viaggio senza ritorno. A oscuri individui che mandano all' inferno i clandestini in fuga. Hanno pagato per andare incontro alla morte. Il più giovane, Eri Hasan Amin, sente accanto a sé corpi freddi e rigidi. Urla, batte disperatamente con dei cacciavite su quella tomba mobile che è diventato il camion. Gli autisti, finalmente, sentono quei rumori attutiti dalla corsa della motrice. Si fermano nella stazione di servizio di Mirabella Eclano, in Irpinia, sulla Napoli-Bari. Chiamano la polizia. Quando aprono il portello d' acciaio raccolgono cinque cadaveri e quattro giovani vite appese ad un filo. «Non si può morire in questo modo». Non si dà pace un poliziotto che racconta: «Erano incastrati tra un' auto, una Honda, e altre masserizie. Tre erano morti da diverse ore, uno stringeva ancora un cacciavite con il quale, assieme agli altri, aveva tentato di aprire il portellone ma anche di battere per farsi sentire. Altri due erano ancora caldi, la vita li aveva lasciati da poco; se fosse stato possibile intervenire prima, forse, non sarebbero morti». La Questura di Avellino manda i suoi migliori investigatori. Da Roma il Viminale invia gli specialisti dello Sco, perché l' indagine avrà respiro internazionale.

Perché, come dice il procuratore di Ariano Irpino, Amato Barile, «gran parte della responsabilità deve ricercarsi fuori dai nostri confini». Ascoltando i sopravvissuti, polizia e magistrato ricostruiscono il viaggio della morte. I nove curdi-iracheni salgono di nascosto (non è ancora chiaro come, visto che il Tir era sigillato) sulla motrice prima che questa si imbarchi dalla Grecia, sul traghetto in partenza da Igoumenitza, diretto a Brindisi. Scelgono di nascondersi in un tir arancione della Cittadini international movers, ditta romana incaricata del trasloco di auto e mobili di due funzionari dell' ambasciata italiana in Bulgaria. Il camion ha cominciato il suo viaggio a Sofia e lo terminerà a Roma. Già in mare, stipati dentro al mezzo, alcuni cominciano a morire. Si spogliano per vincere l' insopportabile calore, consumano un paio di bottiglie di acqua, cercano spiragli d' aria. Sono tutti giovani, compresi fra i 18 e i 35 anni. Qualcuno si assopisce. Una fatale narcosi, indotta dalla mancanza d' aria. Gli altri cercano una via di fuga.

Ora il tir arancione con sulla fiancata indirizzo Internet e uno spot - Move your ideas - è a terra. I profughi trovano dei cacciavite fra le masserizie e tentano una impresa impossibile, sfondare il portellone d' acciaio. Sono le undici del mattino quando altri due uomini si spengono, uno impugna ancora quell' arnese. Il diciottenne Eri ha ancora la forza per combattere contro il suo destino. Si schianta con le braccia, le gambe, i cacciavite, con tutto se stesso contro il portellone. Gli autisti lo sentono. Si salva. E salva la pelle ad altri tre connazionali. A lungo vengono interrogati i due autisti. Il procuratore li scagiona: «Le prime indagini sembrano poter escludere loro responsabilità». Aggiunge: «Attualmente indago contro ignoti per favoreggiamento dell' immigrazione clandestina e omicidio colposo; per ventiquattro ore, secondo i primi accertamenti, quei poveretti hanno sognato la Germania». Si indaga su un cartello criminale internazionale che avrebbe intascato i 4500 dollari dei nove curdi per mandarli a morire. Negli ospedali di Ariano Irpino e Benevento i sopravvissuti sono sottoposti a cure. Sulle bare degli altri, una mano pietosa ha lasciato fiori e l' immagine di Padre Pio. Esprime «immenso dolore» per la fine dei clandestini il vescovo di Caserta, Raffaele Nogaro, da sempre vicino ai drammi e alle difficoltà degli immigrati. La legge Bossi-Fini, attacca il religioso, «va cambiata perché contiene norme che offendono i diritti della persona», anche se, aggiunge, «non c' è collegamento» fra questa e l' atroce morte di quei giovani. Ma per il vescovo, comunque, la Bossi-Fini attua «una restrizione massacrante che servirà solo ad aumentare le forme di clandestinità».



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