"Eh no! E' tradizione!" - Le venti peggio cose del Natale

di , Lunedì, 21 Gennaio 2013

dal blog lacod@delgatto;


Fra tre giorni è Natale e io sono a Firenze: Jesus Christ io ti lovvo! Non me ne vogliano i miei amatissimi parenti ma mi sono salvato ma sia chiaro, eh !!!, non per voi ma per i motivi che troverete da qui in fondo alla pagina! E allora poco importa che il mio pranzo di Natale saranno i tortellini nella vaschetta scarta e inforna dell’Esselunga ma davvero mi sento miracolato! Si, perché il Natale è bello, lo adoro e ci potete contare cari zia, zio, cugini di vario grado, altezza e grado di calvizia e vi aggiungo che a distanza di 570 km anche mi manca e singhiozzerò dalla malinconia ma ci sono cose a Natale per le quali davvero ringrazio che esitano gli altri 364 giorni dell’anno! Ho deciso di farvene un lungo elenco e non prendetevela a male se non sono a tavola in mezzo a voi ma questa stesa di parole che stanno per arrivare servano anche a rinsaldare lo spirito familiare, un po’ come una lista di miei personali pareri che non ho mai avuto il coraggio di confessare a voi tutti, figurarsi poi il giorno di lu Santu Natal, senza magari poi aprire faide familiari calabrolucane! Dunque, leggete questa mia iacovella delle “venti peggio cose del Natale” con lo stesso sorriso che mi porta a scriverla e continuate per almeno venti minuti se no è finito lo sfizio.

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La mmmmm’nestra cu li palline. Quando a Natale a tavola si dice “eh no! è tradizione”, preparatevi: arrivano, come piccole Costa Concordia, arenate nel boro palline di carne tra vegetazione fitta di mmmmm’nestra. Una cosa leggera, la mmmmm’nestra, che vede probabilmente la sua origine nell’oscura notte dei tempi, altrimenti non si capisce la genesi di un piatto così sommamente cretino (fonte Gambero Rosso). Dicesi dunque mmmmm’nestra: una pietanza che si ottiene facendo bollire l’acqua e buttandoci dentro la qualunque e chiunque e, siccome si presenta in forma liquida, le genti ritengono che si tratti tipo di una camomilluccia, un piatto tra l’antipasto e il primo di pasta. In realtà la mmmmm’nestra natalizia contiene dalle seicentomila ai tre milioni di calorie a cucchiaiata, come di evince dalle tre dita di carne animale che bisogna rompere a colpi di scalpello per raggiungere la parte cosiddetta liquida del boro. Il sapore è buono, indubbiamente, ma il suono che ne consegue al fondo piatto in rapida sequenza è ancor di più sublime: “wwiiiùù..sssssssssssssuuuuush……. aaaaaaaaaaaaah!”.

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I regali. Odio i regali soprattutto quelli fatti all’ultimo nanosecondo, comprati o dai cinesi o in merceria o peggio ancora all’Autogrill. Ne annovero alcuni:

  • la candela: a meno che non si usa come attappabuchi, di poca o nulla utilità. Nella mente malata del donatore, evoca bagni caldi in vasca con contorno di musica soft (solo che io ho la doccia) oppure quei film americani in cui la gente taglia carote e sedani per ore nella loro cucina che affaccia su Central Park col jazz in sottofondo e io invece torno giusto in tempo per chiavare due sofficini dentro al fornetto.
  • l’equo e solidale: capisco perché il terzo mondo lo chiamano terzo mondo. Block notes di carta cilena che si squarta appena li sfogli, matite color sciorda che non matitano e che appena le temperi ti si disintegrano in mano. Preferisco le azioni della Apple per solidarietà alle multinazionali che almeno sono capaci a fare una penna biro che non mi tatui la mano con inchiostro indelebile.
  • l’intimo: uso gli slip, ricevo i boxer. L’anno dopo uso i boxer e ricevo gli splip. Lana visto che amo la seta e viceversa. Ulteriori varianti sono le frasi spiritose tipo Stiamo lavorando per voi e Facitm’ stà quièt.
  • il libro: temutissimo, perché in genere mi viene regalato da gente che dice eh, perché quello poi a te ti piace leggere (detto col tono, a te piace accoppiarti coi triceratopi). Ha la particolarità di essere un libro di quelli mezzi mezzi, tipo Fabio Volo o Floris, che mi vergogno finanche a riciclare, finché poi decido che mi hanno scassato la fava e li metti direttamente nel contenitore della carta.
  • Guant’, sciarpitella e cappìell: un must dei regali natalizi, il top dei regali reciclati. Narra la leggenda che dal 1984 gira per le case di noi parenti un trittico di sciarpa/guanti/cappello di Enrico Coveri di colore grigio antrace e che già abbia fatto il giro dei regali un paio di volte. il Set guanti/sciarpa/cappello possiede due caratteristiche ineludibili: sarà in tinta unita nella fantasia più orribile del mondo, grigio lapide, e poi sarà due misure inferiore alla vostra, perché una sciarpa lunga sei metri te la puoi arravogliare tre volte intorno al collo e ti tiene pure più caldo ma se ti regalano un sciarpa bambino sei anni (e qui capisci che è riciclata) la usi per pulirti le scarpe.
  • Infine, il regalo che vorrei: il set da scrittura.  E sarebbe pure un regalo utile, se ci pensate, perché con internet e i tablet e gli smartfon non solo ci siamo disabituati a scrivere con le penne ma manco ne abbiamo più in casa, tanto se mi devi dire pure un numero di telefono o un iban me lo mandi via sms.

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I Film in Televisione. Che il Natale quello della mia infanzia non è mica come adesso che cò tutti sti canali puoi scegliere tra cinquanta film Sky HD e rivederli quando vuoi, no! Allora c’era UN film che iniziava alle tre del pomeriggio ed era una mazzata sulle palle fino alle 18.00 e dopo iniziava Buona Domenica versione Natalizia con la Buonaccorti, vestita a festa che pareva nà renna, con ospiti illustri tipo Lorella Cuccarini, Marco Columbro e Amanda Lear. Ebbene quell’unico film ti toccava e te lo dovevi vedere per forza: Miracolo sulla 34sima strada, Mamma ho perso l’areo 1, Senti chi parla e in rapida sequenza Senti chi parla adesso. Oppure quei cartoni della Walt Disney strappa lacrime e lancia gomiti tipo Bambi e Dumbo o tutt’e due insieme, che poi si capisce perché ora a distanza di vent’anni da quei film m faccio due risate con i testi dei Black Sabbath.

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I Liquori. Una volta si usava portare le butteglie di liquori in dono per Natale ma no come adesso che si porta il Jack Daniel’s o la grappa barriccata, che compri all’Autogrill prima di arrivare dai tuoi. Ai tempi, la grappa era o Julia o Bocchino ed era consentito bersela solamente in cima al monte bianco: cioè, ti potevi bere pure trenta litri di vino a pranzo, ma non sia mai ti bevevi una grappa ti guardavano a uso tossico. Le butteglie erano fatte per stare in bella mostra e giammai aperte: tra le più rappresentative l’Amaricante, il Manderinetto Isolabella, il liquore di cerase con le cerase di plastica attaccate, l’Amaro Cora.

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Il sanguinaccio. Una vecchia prozia fattucchiera ogni anno esce dalla tomba e ti manda questo tubo profumatissimo e grondante grasso al quale ogni benedetto Natale non riesci a resistere. E ogni anno ti dimentichi che la zia janara ha la pessima abitudine di dimenticarsi di dire che il sanguinaccio è semplicemente una quintalata di plasma di puorco e passi capodanno e l’epifania a vomitare nella pace degli angeli. Amen.

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La Poesia Di Natale. E’ costumanza far recitare una poesia di Natale al più piccolo o comunque al più indifeso dei nipotini presenti. La cerimonia consiste nel farlo alzare a capotavola su una sedia ed ascoltare il moccioso balbettare una serie di strofe talmente brutte e prive di senso che sembrano scritte da Guccini in paranza con Umberto Bossi, questo per il solo terrore dei parenti ormai giunti al collasso etilico dall’altro capo del tavolo con le panze all’aria. La cerimonia termina con un timido applauso (di sollievo) delle zie tutt’intorno e con lo zio più sincero o semplicemente più cotto che, mentre si alza aiutandosi con la mano sul ginocchio, dice a bassa voce con un sorriso maligno “Maronna e che scassament’ ‘e cazz’ sta poesia!” e, mentre attraversa il lungo del tavolo, ad alta voce come un istrione “Ma quant’ ssì bravo”, fino a giungere alla tasca del poetino con la bellezza di 50,00 euri di carta croccante. Il piccolo, che ha già accresciuto il senso per gli affari, compie tre gesti: arpionare il pezzo, osservare l’arancio euro, sigillare nella piccola tasca del pantalone di vellutino verde buono della festa. Tutto questo sotto gli occhi di noi nipoti ex 30enni o quasi che come lupi affamati non ricevono più una lira da quando la lira esisteva. Appunto per Natale 2013: imparare il Canto V dell’Inferno di Alighieri e recitarlo come Benigni, chissà magari intasco anche io qualche spiccio. La pantomima con la madre del piccolo che “Dalli a mamma che te li conserva lei” e il piccolo che recede l’arpione di cinque dita, attratto dai regali sotto l’albero. E qui apro una breve parentesi: dal 1983 al 1992 ho ricevuto per Natali, Epifanie, Pasque e Pasquette, Compleanni e altre visite/ricorrenze dai parenti paterni e materni varie somme variabili dalle dieci alle cento mila lire per un totale di circa otto/nove milioni delle vecchie lire che col tasso di interesse e cambio valuta attuale s’aggira intorno ai 12.000 euro…Ebbene, Cara mamma hai finito di conservarli, grazie!!

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Il mustacciuolo. Hanno la curiosa caratteristica di essere odiati praticamente da tutti, però si comprano uguale perché “eh no! è tradizione” oppure, come mia madre, li fa in casa in proiezione dello sbarco dell’intera Cina a casa mia. Il mustacciuolo è particolarmente schifato dai bambini: da fuori sembra cioccolattosissimo, poi lo assaggiano e te lo risputano in faccia offesi come scimmie.

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Le Agende. Una volta le banche se tipo che eri cliente loro ti erano grati, no come adesso che ti fottono i soldi e ti guardano pure storto a spiovere, però chissà perché a Natale decidevano che gli avevi fatto qualcosa di male e allora ti regalavano le Agende, così…per vendicarsi. Ogni casa veniva regolarmente invasa da almeno duecento agende di ogni dimensione, foggia e colore, da quelle con la copertina in pelle umana a quelle firmate dal primo cacacazzo lui e la marca  dell’epeca, cioè il signor Pièr Cardèns. Siccome generalmente in famiglia lavorava solo il padre, regalare un’agenda con TUTTI i codici postali del mondo e TUTTI i fusi orari non è che fosse una cosa molto utile a una casalinga o a una nonna ricoglionita, però noi criaturi ci divertivamo per ore a calcolare quanti chilometri ci separassero da Calcutta.

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Natale in casa Cupiello. Comincia la visione. Come tutti sanno, questa commedia è divertente ma neanche tanto, solo per i primi dodici minuti, dopodiché sfocia improvvisamente nella più bieca, noiosa e scontata tragedia mal scritta e peggio recitata, quindi solo i più coraggiosi arrivano alla fine vivi o svegli, e, prima di imbottirsi di psicofarmaci, rivolgono un pensiero affettuoso alla buon’anima di De Filippo. Vince chi, dopo questa immane rottura di palle, ha ancora il coraggio di pronunciare l’infame battuta Te piace ‘o presebbio?, senza venire linciato dai superstiti furiosi.

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I Tùrron. Di torroni ne esistono molte varietà, da quello bianco e tuosto, che ti sfracanta i denti, a a quello mollo e azzeccoso, che si attacca al molare e te lo zuca via: in un modo o nell’altro quello che non si è pigliato il governo tecnico va a finire al tuo dentista.

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Pandoro e panettone. Nonostante la pezzentamma indotta dalla seconda rata dell’Imu, in casa in genere se ne comprano dai trenta ai cinquanta, più un’altra ventina che arrivano regalati, perché ci puoi sempre fare colazione la mattina. Risultato: ingrasso sette chili in una settimana, casa mia con tutto lo zucchero a velo che cade in giro pare Roccaraso, stai sempre con le mani azzeccate di zucchero che poi vai spargendo sulla tastiera e per tutta casa. Il pandoro ok è buono ma ma ti intufa n’ ganna che è una meraviglia da mò fino a fine marzo che al Conad mettono le offerte prendi 4 paghi 1 e mia madre che con l’aria insoddisfatta mi dice “Ah, è pigliamone un paio!”. Mà…di stò passo il pandoro me lo porto pure mò che vado in piscina ad agosto. Il panettone invece non piace praticamente a nessuno e quindi si compra solo per regalarlo ai parenti e agli amici che teniamo sul cazzo e vogliamo veder soffrire. Come per il Pandoro semplice, in casa vige la regola nessuno compri merendine finché non finiamo questo ben di dio di panettone, col risultato che da quel giorno la tua colazione dura tre quarti d’ora come minimo: il tempo di togliere i ventiseimila pezzetti di cedro candito che fanno schifo e che insistono su ogni singolo millimetro quadrato del maledetto dolce di chi gli è stramorto.

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Il cugino che viene da Marte. Fisico da idraulico, entra con le mani nelle tasche intermedie del Piùterì pezzotto con il cappuccio di finta pelliccia. S’accomoda al mejo posto a tavola e poi s’ sbraca sulla poltrona davanti al camino e viene servito e riverito nemmeno fosse Pio X. Aggiorna il suo status di Facebook con lo smartfòn e lancia delle urla mostruose perché Chiaralù ha postato una foto da chissà dove e lui non è lì e allora devi anche compatirlo “E vabbè…l’anno prossima, dai a zia”. Attaccare bottone con lui è impossibile, tant’è che ti snerva per la saccenza: chiama Obama per nome, lui ha visto il film, ha letto il libro, e’ stato negli ultimi dodici mesi in 12 capitali europee, ricorda di colpo tutti gli aneddoti che lo riguardano e si assicura che tutta la famiglia ne venga messa a conoscenza. Un mix finale tra un critico del Gambero Rosso ed un elettore del PCI: è in sostanza il parente pruritico che si avvia a scassare la fava lui e il lieve sentore di vaniglia che crede di riconoscere nell’analcolico del Todis e si incazza come una bestia quando gli dici che gli ingredienti della pasta e pisielli sono, appunto, la pasta e i pisielli e finisce di scassare la minchia quando si inalbera perché la schiuma nel caffé non è color manto di monaco. Invece di toglierti il saluto, come tenti invano di suggerirgli, ti appiccia una pippa infinita lui, la Mannoia, la Littizzetto e Saviano e si ubriaca tardi ma quando lo fa confessa che secondo lui Berlusconi resta comunque un grande imprenditore.

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Il panforte. Difficilmente la natura permette che nasca qualcosa che faccia completamente schifo ma nel caso del panforte fa volentieri un’eccezione. Siccome finora non ha fatto parte della nostra tradizione culinaria, ti rendi conto perché sono orgoglioso d’essere sannita d’orgine. La nobile e antica città di Siena è riuscita, nel corso dei secoli, ad essere famosa per due cose: la Monte dei Paschi di Siena, ovviamente, e il Palio, ovviamente, di Siena. In quest’arte sublime però eccelle il tipico dolce senese, il panforte appunto. In una comoda confezione ottagonale, pesa circa tre kili e contiene in uno spazio ristretto praticamente tutti gli ingredienti che tutto il mondo trova sgradevoli in un dolce. In genere te lo porta a casa l’amica che studia a Siena (nessuno ci abita davvero a Siena, a parte Gianna Nannini, e ci studiano soltanto) e, col fatto che si è fatta seicento chilometri per venirti a salutare, te lo devi mangiare per forza. E’ in quel momento che capisci che hai veramente troppi amici.

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Il Sette E Mezzo. Un classico giuoco con le carte. Con il Sette e mezzo si cerca di vincere la casa al parente più prossimo, buttandolo così senza pietà in mezzo alla strada anche se ha solo dodici anni. Si comincia fissando un tetto alle puntate, tipo venti centesimi massimo, e in un quarto d’ora il limite è stato alzato a ventimila/trentamila euro. Dopo un’ora sta gente che per la disperazione minaccia di leggersi un libro di Moccia, se non lo fanno giocare a credito. In ogni caso come al solito è sempre quello più ricco che vince tutto e, anche se per due ore dopo fa finta che i soldi non li vuole, alla fine con quei soldi ci ricarica lo smartphone per due settimane al massimo.

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Il Baccalà. E’ sostanzialmente il merluzzo a schiovere, nel senso che è un bel pezzo di merluzzo corpulento che viene fatto prima essiccare e poi fatto rinvenire, secondo la regola aurea che chi fraveca e sfraveca non perde mai tempo e chiedersi che senso abbia fare tutta questa tarantella invece di mangiarsi direttamente il merluzzo fresco è assolutamente inutile, perché “eh no! è tradizione”. Caratteristica del baccalà è il fatto che, comunque la padrona di casa decida di prepararlo, qualcuno si alza e dice che è meglio fatto nell’altro modo, per esempio: se lo fatte fritto nella pastella, a tavola vi diranno che è meglio alla siciliana; se lo fate con le patane tutti vorranno quello alla vicentina e così via. Simpaticissimo il gioco di società che ne consegue chiamato dai più strafocarsi con la lisca del baccalà.

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La Messa Di Mezzanotte. Ai tempi del mio medioevo alla messa di mezzanotte ci andavano tutti: il sindaco comunista, il maresciallo cafone dei Carabinieri, il macellaio, la vicina di casa fetente, le mie compagnucce di scuola agghindate che parevano Shirley Temple in Boccoli d’Oro e soprattutto anche io. Il tutto iniziava alle 21.00, quando mi sbattevo a letto al buio totale e me ne restavo sveglio e terrorizzato fino alle 23.00, quando mia madre mi strappava il braccio fino al bancale della Chiesa sotto casa. In fondo però la Messa di mezzonotte aveva anche un suo fascino tutto speciale, soprattutto se eri uno a cui piaceva sfrantecarti i coglioni, stare seduto scomodo in mezzo alle signore che sembrano uscite da Annabella di Pavia e i signori che parevano Mike Buongiorno per il doppio petto e la lacca nei capelli, puzzarti dal freddo dal freddo due ore ma soprattutto all’uscita dalla Chiesa fare gli auguri, che avrei ripetuto anche il giorno stesso a pranzo, con amici e parenti: mi disdegnavano non tanto le guance fredde cadaveriche delle zie incappucciate o il loro pizzichi con le canocchie ossute ma l’alito grigiastro da muorto che immaginerete alle tre mattino che sapore abbia.

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I datteri. Non rientra propriamente nei dolci né nella categoria frutta, sua maestà il dattero, dall’inconfondibile gusto di diabete, da solo capace di cancellare un intero universo di sapori gradevoli e sostituirli con con l’aroma di palle sudate di cammello.

 

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Le Visite. Tre individui si muovono nel buio del pomeriggio di Natale per case, vicoli e campagne nemmeno fossero Hobbit nella Terra di Mezzo. Il loro scopo? La visita. In testa lei, la madre. Alta, impettita, dal capello corto corvino, col suo profumo alle rose e vaniglia: “Bònasera e buone Festa fatte a tutti quanti. Aaaah Ci stanno pure i forestieri!”. La segue la di lei figlia. Bionda (non si comprende da quale gene del DNA sia venuta fuori), a testa bassa, alta un metro e sessanta o poco meno, ventiquattro anni, viso pallido cadaverico che risalta col giubbetto bombato nero alto fino ai fianchi, un culone  che ne viene fuori e una borsina rosso plastica. Con la sua manina, magra, legnosa, fredda cadaverica lei saluta tutti a prescindere senza distinzioni tra amici, parenti, forestieri e s’assetta sul bordo della poltrona come un corvo sul ramo e, se le dicono “Rosetta prendi un mustacciuolo!”, lei risponde con un timoroso “no, no” per poi tornare ingobbita al suo Nokia N70 a rileggere gli sms del Natale passato. In ultimo entra lui: il capo Hobbit. Stempiato che pare Frate Indovino, baffo nero tagliato largo a sinistra e storto a destra, panza d’ordinanza, con le scocche rosse, la pelle come cuoio bulgaro e le mani come badili, camicia bianca e gillet bordò, “BuonaseraTantiAuguriTuttoBeneComeStateStit’Bbuon CheSiDiceAMilanoMachis’E’Luisc’Mari’JammBbuonBuoneFestFatt” prima di iniziare un chiacchiericcio di caccia e sparagi con il buon Zio Pasquale che aspettava l’amicone di tante braciolate. I tre Hobbit che mena mò, s’è fatta ora s’alzano ad unisono e si dissolvono nel buio della Terra di Mezzo.

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Lo Scopone a Offendere. Un altro giuoco di carte. E’ praticamente la versione dello scopone normale ma lo scopo del giuoco è offendere il tuo compagno fino alla mortificazione. Una volta fatte le squadre, cominci chiedendo al tuo partner cose tipo “neh ma tu ‘ossai come se joca ‘o scopone?”, continuando con “ma tu vedi un poco se dovevo fare coppia con nù strunz stasera io”. A quel punto il vostro compagno si è bello e che innervosito e si è pure cacato il cazzo, quindi prima o poi un errore lo fa, facendo fare agli avversari sette scope di fila. A quel punto cominciate a deriderlo finché quello non prende e vi chiava il posacenere in faccia. Perdete tre denti ma avete vinto, che quello il bello di stare in famiglia è divertirsi e fare le cose insieme.

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Gli sms natalizi. Un cacacazzo enorme e di una maleducazione unica: freddi, anonimi, impersonali e ipocriti soprattutto quando ricevo o un “grazie” (telegrafico quasi a dire “m’è rompe lu cazz”) o il mio stesso sms rigirato proprio a me che lo inviato.

A tal proposito capita anche il capitone di turno che dall’opzione inoltra del nokia non cancellano la frase finale “baci Luisa”, ebbene: lo scorso Natale ho ricevuto da Gianluca questo personalissimo suo short message: “Ti dono un mio piccolo pensiero: tutta me stessa insieme agli auguri di un felice Natale. Baci Luisa”. Bastardamente ho risposto: “Auguri di cuore anche a te: non sapevo che per Natale t’eri regalato un’operazione al pisello!”. Ricevere gli auguri di massa con un messaggino inviato a tutta la rubrica mi sembra quanto di più lontano possa esistere dall’essenza del Natale. Fate più telefonate ai parenti anziani e a quelli che per tutto l’anno non sentite non tanto per la distanza ma perché proprio non sopportate: almeno il 25 dicembre non fate i roccocò!



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