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Il lento incedere del treno mi fa intendere che sono finalmente arrivato, si, ci sono, della vecchia stazione c’è rimasto in verità poco, una vecchia insegna con su scritto bar, un cartellone pubblicitario con cui la ruggine ha banchettato e la campanella che avvisava l’arrivo dei treni ormai muta chissà da quanto. 

Dopo tanto tempo torno al mio paesello, l’aria è fredda, tipica di dicembre, il vapore caldo del mio respiro alimenta una sottile nebbia che mi circonda. Giusto il tempo di spostarmi con la mia piccola valigia il treno riparte senza quasi alcun rumore come se non volesse disturbare quel mio momento. 

La piazza appena fuori la stazione è vuota, cerco di capire ove e come prendere un taxi poi ricordandomi, sorridendo, mi rendo conto che qui un taxi non si è mai visto, allora mi avvicino ad una bacheca appena illuminata ove è affisso un foglio con su gli orari degli autobus, pulisco i miei spessi occhiali appannati dal respiro e dalla nebbia, sono fortunato, l’ultimo autobus che fa la spola tra la stazione ed il centro del paese sarà qui tra poco. Sento l’autobus arrivare fa una manovra a mezza luna e mi si ferma accanto, l’autista mi guarda un po’ “stranito” quasi volesse dirmi: “ che ci fai qui”, ma è un attimo poi sorride e mi da il benvenuto, nel bus siamo solo io e l’autista, man mano ci allontaniamo dalla stazione  rivedo quei posti anche se a stento comincio a ricordare quei luoghi.

Prima di arrivare in centro ove io vivevo, attraverso una periferia zeppa di negozi, gente che corre per fare gli ultimi regali di Natale, un serpentone di automobili ci segue e ci precede, tutto questo ha poco a che fare con il paesello che lasciai tanti anni fa, per un attimo ci resto male ma poi penso “son passate tre decadi” da quando sono andato via qualcosa doveva pur cambiare, sorridendo continuo a guardarmi intorno. Sono arrivato nella piazza del paese, ci sono due bar, poche persone che passeggiano sotto le luci intermittenti che preannunciano il Natale. Saluto l’autista e mi incammino verso casa, si la mia abitazione è in un vicolo a ridosso della piazza, cinque scalini, sono arrivato.

Qui non è cambiato nulla, è tutto come trenta anni fa, la finestra di casa mia quasi si tocca con la finestra di fronte, il portone ormai incolore palesa tutta la sua età, sul piccolo balconcino un vaso che aspetta chissà da quanto tempo l’arrivo di un fiore. Cerco le chiavi nel cappotto, proprio in quell’attimo sento in lontananza un suono, una musica a me nota, appoggio la valigia sull’uscio di casa e comincio a seguire quella musica.

I ricordi riaffiorano lentamente mentre mi avvicino alla fonte di quella melodia, qui proprio dietro l’angolo tanti anni fa c’era il negozio del vecchio Peppino, una sorta di emporio, vendeva di tutto, dal pane al formaggio, dai chiodi ai bulloni e, in un angolo della vetrina in bella mostra, nel periodo di Natale metteva un antico Carillon il quale aveva nel suo centro una ballerina con un vestito corto che danzava in uno splendido giro perpetuo. Il Brano era “White Christmas” di Irving Berlin anni 40, questa vecchia canzone in tutti questi anni non mi ha mai abbandonato. Con la curiosità di un bambino affretto il passo per vedere se dietro l’angolo c’è ancora il vecchio emporio di Peppino, la sua vetrina e quel carillon, in cuor mio so che è impossibile dopo tutto questo tempo ma, voglio illudermi. Giro l’angolo e lo stupore è interrotto solo dal battito impazzito del mio cuore, l’emporio è la, con la sua vetrina e più di tutto c’è il  carillon, con la sua ballerina al centro. La ballerina, proprio lei, ricordo ancora il mio naso incollato alla vetrina per ore a guardarla.

Dovete sapere che quella ballerina era l’esatta copia di un mio amore proibito, si chiamava Elena quasi tutti i giorni veniva a pattinare proprio qui di fronte l’emporio, lei era bellissima, un sogno...io avevo forse dieci anni, lei era un po’ più grande, quasi una signorina, quando sentivo i suoi passi nel vicolo, scappavo di casa per seguirla e, sempre di nascosto la osservavo, ero innamorato alla follia di Elena, ma lei era troppo bella, troppo grande, troppo dolce, troppo per me, non ebbi mai il coraggio neanche di dirle ciao.

Un giorno però Elena non venne più, i giorni si incollavano l’uno sull’altro e i suoi passi nel vicolo diventarono solo un ricordo... Da quel giorno io ogni qual volta potevo andavo di corsa giù all’emporio di Peppino e con il cuore affranto, mi perdevo nel perpetuo giro di quel carillon, con la speranza di vederla danzare  almeno  una volta ancora. Purtroppo da quel giorno, non la vidi più, a distanza di tanto tempo non passa giorno che ricordandomi di lei, mi sento avvolgere dalla tristezza.

Continuo a guardare il carillon ma dal riflesso del vetro vedo dietro di me a pochi passi una figura come se danzasse, mi giro lentamente quasi impaurito, di fronte a me si presenta una figura alta, esile, le linee del suo viso mi fanno scavare nei miei ricordi, l’emozione mi pervade: “è lei!” si è proprio lei Elena, mi avvicino, guardo il suo viso mentre volteggia sui pattini, la sua leggerezza nel muoversi è una danza che accompagna i miei occhi stanchi, mi sorride e mi invita a danzare con lei, ammaliato  tendo la  mia mano verso la sua, sento il mio corpo riempirsi di un antico vigore e comincio a danzare con lei, i suoi occhi sono belli come allora, il suo sorriso allontana tutte le mie paure. Intanto il posto in breve tempo si è animato di tanta gente, vedo tutti abbracciarsi e sorridere, un bisbiglio crescente mi fa capire che è appena passata la mezzanotte e tutti si augurano Buon Natale.

Si è la notte di Natale e questa notte qui ho proprio tutto, la mia gente, il mio paese, il mio inconfessato amore Elena e quel vecchio carillon...

Buon Natale a tutti voi.  

Big wave.



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