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Frodi alimentari. Per fortuna che c'è la Ravece

di , Martedì, 12 Gennaio 2016

Fortuna che c’è la Ravece. A salvarci dai falsi extravergini ci penserà il made in Irpinia. Olive raccolte, spremute e imbottigliate all’origine, grazie alla dop “Irpinia - Colline dell’Ufita”, mentre la Procura di Torino indaga sull’italianità ferlocca di alcuni marchi italiani (si fa per dire perché tre sono del gruppo spagnolo Deolo) per una presunta frode in commercio.

A novembre la notizia che nei guai erano finiti sette famosi brand dell’olio italiano nel mondo: Carapelli, Bertolli, Sasso, Santa Sabina, Coricelli, Primadonna (per Lidl), Antica Badia (per Eurospin). In venti bottiglie analizzate c’era olio vergine al posto di olio extravergine. Ovvero dati in etichetta truccati. Va detto subito che, se dovesse trovare conferma l’ipotesi di reato, non si tratterebbe comunque di prodotti nocivi alla salute, ma di dati non veritieri espressi in etichetta. Una questione che riguarda la qualità. Olio spacciato per extravergine mentre non lo era.

Facciamo, però, un passo indietro nei meandri delle definizioni commerciali. Quattro le categorie assegnate alle “spremute” di oliva in base a numerosi parametri, tra i quali il più noto è l’acidità, e a prove di assaggio sensoriali su profumo e sapore. Al vertice della piramide l’extravergine (acidità massima 0,8 grammi per 100 grammi). A seguire l’olio vergine d’oliva (acidità non superiore a 2 grammi), l’olio d’oliva (ricavato dalla raffinazione con sostanze chimiche di olio vergine) e l’olio di sansa (ottenuto con gli scarti solidi della lavorazione delle olive).

Mentre i test hanno messo nei guai i sette marchi nazionali, la dop irpina (ottenuta dalla spremitura di olive varietà Ravece per il 60 per cento e per il 40 da altre varietà autoctone come Ogliarola, Marinese, Olivella di Carife, Ruveia, Vigna della Corte ed eventualmente da varietà non autoctone, ma in quantità non superiore al 20 per cento) diventa un porto sicuro per chi ama la qualità: 0,5 di acidità, elevato contenuto di polifenoli, produzione non superiore a 60 chilogrammi per pianta e resa non oltre il 20, molitura entro 48 ore dalla raccolta, profumo fruttato con sentore di pomodoro acerbo, sapore armonico con punte di amaro e piccante, produzione compresa in 38 Comuni vocati dell’Ufita e della Media Valle del Calore. A guidare il corteo di tutto ciò che di meglio si può chiedere a un extravergine d’oliva la rustica varietà Ravece, capace di mettersi il cappotto di fronte ai rigori dell’inverno e dare il meglio di sé all’atto della spremitura.

“Il marchio ci fu riconosciuto dopo una lunga battaglia –ricorda Michele Masuccio, presidente della Cia provinciale e del consorzio di produzione e valorizzazione dell’olio irpino (Coprovoli)- dall’Unione Europea nel 2010, preceduto quattro anni prima dal riconoscimento ministeriale. Il marchio ha tirato su l’intero comparto olivicolo, influenzando positivamente anche la qualità delle altre varietà autoctone e dell’intero comparto dell’extravergine”.

Si può aggiungere che l’annata attuale è di quelle buone e che, se sono venute fuori le frodi alimentari, questo è dovuto proprio alle strette maglie dei controlli. Secondo dati Federalimentari in Italia, ogni anno, vengono effettuati circa un milione di analisi per centomila campioni messi sotto osservazione. E che, solo considerando il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, a guardia della qualità degli alimenti ci stanno l’Ispettorato centrale repressione frodi, il Corpo forestale dello Stato, le Capitanerie di porto e il Nucleo antifrodi dei Carabinieri (Nac). A questi si aggiungono i ministeri della salute, dell’ambiente e dell’economia, rispettivamente per la sicurezza degli alimenti, dell’ambiente e delle acque, delle infrazioni fiscali. 

Ma al di là delle frodi commerciali, comprare e condire italiano, meglio ancora se irpino, fa bene alla salute e alla nostra economia. Ce n’è per tutti i gusti, sentori e sapori. In provincia di Avellino, nell’area dop “Irpinia Colline dell’Ufita”, centinaia di aziende agricole appassionate e orgogliose del loro prodotto, una trentina di frantoi e decine di etichette locali garantiscono un acquisto sicuro e informato.

Come dire: piccoli produttori grande qualità. E soprattutto vero Made in Italy, se si pensa che l’olio è materia di mercato globale, con due storici marchi italiani, Sagra e Filippo Berio, controllati dalla cinese Ymin Foods, a sua volta controllata dal gruppo Bright Food, o con Bertolli, Carapelli e Sasso sotto il dominio spagnolo Deoleo, a sua volta gestito dal Fondo inglese Cvc Capital.

Articolo pubblicato sul numero Dicembre/Gennaio 2016 del periodico XD Magazine 


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