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Tornare alle radici. Per la ricostruzione delle basi della democrazia

di , Venerdì, 15 Maggio 2015

Dal Mattino di ieri, la recensione del testo di Francesco Paolo Casavola, presidente emerito della Corte Costituzionale, a cura di Ortensio Zecchino. Il libro ‘Tornare alle radici. Per la ricostruzione delle basi della democrazia’ di Cittadella Editrice, Assisi 2014, con molta probabilità sarà presentato ad Ariano a fine giugno con un evento in fase di organizzazione a cura dell’associazione Circolo Giovanile Europa Popolare

Forte delle feconde esperienze di giurista, storico e protagonista della vita istituzionale del Paese, Francesco Paolo Casavola, in appena 100 pagine è riuscito ad offrire una magistrale guida intorno ai temi cruciali del nostro tempo, ripercorrendo il cammino della civiltà occidentale dalle radici giudaico-greco-romane ad oggi. L’incipit è sul tema dell’individuo e delle garanzie accordategli nei secoli, sul quale Casavola parte dal punto più alto raggiunto, quello segnato dalle Costituzioni novecentesche (antesignana la nostra, seguita dalla Dichiarazione universale del dicembre 1948 e dalla tedesca del 1949). In quei testi la tutela è riservati alla dignità dell’uomo in quanto tale, diversamente da quanto sancito ne Le droit de l’homme et du citoyen del 1789, che garantivano invece il ‘cittadino’, affidandone la tutela allo Stato d’appartenenza (spesso rivelatosi ‘matrigna’).

Al tema Casavola dedica molte pagine, soffermandosi, tra l’altro, sulla celebre orazione De dignitate hominis di Pico della Mirandola (singolare l’ utilizzo, quasi alla lettera, dello stesso armamentario retorico del Proemio della Costituzione di Federico II). Nel Rinascimento giuridico del XII secolo la questione suscitò l’interesse della Scuola di Bologna, in cui molto si disquisì sulle contraddizioni tra passi delle Istituzioni e del Digesto relativi al “diritto delle persone” (de iure personarum). Il suo fondatore, Irnerio, soffermandosi sul termine persona ebbe ad annotare: homo est dignissima creaturarum, esattamente, e non casualmente, l’espressione che poi Federico utilizzerà nel citato Proemio.

E sempre Irnerio, glossando un passo di Ulpiano sulla manomissione degli schiavi, definita datio libertatis, ne piegò l’interpretazione nel senso di restitutio libertatis, mostrando così d’intendere la libertà come innata condizione naturale di tutti gli uomini. Sul potenziale conflitto tra la dignità dell’uomo, preso in sé, e la condizione di cittadino non si può non riandare anche all’Antigone sofoclea. Alla sua proclamazione del dovere di assicurare la sepoltura al fratello - pur se considerato nemico della patria e contro le leggi della stessa, in nome della dignità dell’essere umano - sono opposte le ragioni di Creonte, difensore di quelle leggi, ligio al magis oboedire patriae quam patri, e quindi inflessibile esecutore della damnatio dei nemici della patria. In quest’ottica, non è mancato chi ha visto in Creonte, difensore della ragione pubblica, cristallizzata nelle leggi della civitas, un illuminista ante litteram. Il conflitto porta al cuore di una delle questioni più divisive, quella del valore e dei limiti della legge positiva, storicamente nata dal contrasto tra certezza e giustizia.

In principio l’esigenza di giustizia era soddisfatta dal ‘discrezionale’ potere del rex. Fu il levarsi dell’esigenza della certezza a dar vita alla legge, ma dall’inevitabile suo carattere polisenso derivò la disputatio fori e lo ius controversum, arma dei giuristi per piegare l’astrattezza della legge alla giustizia del caso concreto. Ne derivò l’inevitabile compressione proprio di quelle esigenze di certezza ed eguaglianza che avevano generato la legge. In questa circolarità è racchiusa l’intera vicenda storica del diritto. Conclusa in Occidente l’esperienza romana, la dissoluzione d’ogni potere politico portò all’inaridimento della fonte legislativa ed all’affermazione di un diritto prevalentemente consuetudinario.

Con l’avvento del secondo millennio l’Europa, ormai cristianizzata, riprese un cammino di sviluppo, grazie anche alla nascita delle monarchie territoriali - entità prodromiche di quello che sarà lo Stato moderno - intorno alla primordiale funzione della giustizia. Il rex, inizialmente era infatti solo ‘sacerdote’ di giustizia, amministrata alla luce delle Scritture e del Corpus giustinianeo, divenuto “fondamento razionale e religioso della civiltà giuridica dei popoli cristiani”. Fino al XVIII secolo l’Europa sarà unita in un’unica fede e in un unico diritto. Ma questo diritto non legislativo, divenuto nel tempo regno dell’arbitrio dei giuristi (emblematico il manzoniano Azzeccagarbugli) farà esplodere l’insofferenza ‘illuministica’ in nome dell’esigenza di certezza. La legge del sovrano assurgerà così a fonte esclusiva e ai codici si pretenderà di affidare la funzione di fonte totale del diritto.

Ai giudici, bouche de la loi, sarà preclusa ogni interpretazione. Ma questo dogma della legge statale mostra ormai i suoi limiti. ”La moltiplicazione all’infinito dei compiti dello Stato” non può infatti trovare risposte né nella presunta completezza dei codici, né in un’inarrestabile produzione legislativa, rimedio peggiore del male. Di qui il riconoscimento di un rinnovato ruolo del giudice come imprescindibile mediatore tra diritto e vita (con tutti i problemi che si riversano sugli equilibri costituzionali). Ma il dogma della legge statale, nella storia recente, ha rivelato anche la sua nefasta potenzialità, da dar ragione all’Adelchi manzoniano: “Una feroce forza il mondo possiede e fa nomarsi dritto”. E qui dal saggio emerge l’antitesi fra le due concezioni che hanno dominato la storia del pensiero giuridico: giusnaturalismo e giuspositivismo. “Che cosa è accaduto allo Stato di diritto nel corso del XX secolo, se non declinare nella parabola dal liberalismo al totalitarismo?” s’interroga Casavola, ricalcando l’amara ammissione di un ‘positivista’ come Norberto Bobbio: “…la concezione positivistica del rispetto ad oltranza della legalità aveva assunto un valore liberale di difesa della libertà contro l’arbitrio del potere…

Ma quando la dittatura si fu imposta…la concezione positivistica servì benissimo all’uso contrario…”. “Occorreva che i cittadini morissero per mano delle loro patrie matrigne”, insiste Casavola, per capire i limiti della concezione settecentesca dei diritti del cittadino e del dogma della legge e per aprire una nuova stagione dei diritti dell’uomo, fondata sulla dignità dell’essere umano in sé. Ѐ questo il nuovo ‘assoluto’ che oggi piega e supera ogni paralizzante relativismo, tanto che solo dal presupposto della sua salvaguardia può discendere la legittimazione d’ogni ordinamento positivo. Ne consegue, incalza Casavola, che “istanza suprema a difesa dei diritti violati dalle leggi di uno Stato diventa la comunità internazionale, rappresentativa della civiltà ‘attuale’ del genere umano”. Questa concezione - fondamento delle Costituzioni novecentesche che hanno ‘positivizzato’ quei diritti, ‘riconoscendoli’ preesistenti rispetto allo Stato - ha dato vita alla dottrina del ‘neocostituzionalismo’, vero paravento dietro cui il giuspositivismo puro ha potuto celare i suoi fallimenti. La tirannia dello spazio non consente qui di dar conto di altre fondamentali tematiche (per esempio quella del senso della democrazia oggi).

Ma ad un’ultima ci preme accennare: il futuro dell’Europa. Senza rinnegare i meriti allo Stato nazionale, Casavola rileva la necessità di superare “il circuito causativo che si stabilì dalla metà dell’Ottocento tra Stato-nazione e società”. In quel modello, fonte del potere statale era considerato il popolo, anche se, nella realtà, esso era solo un’esigua élite. Superata questa finzione, oggi, sul “saldo terreno dei processi storici reali”, gli europeisti si trovano nella posizione di quelle élites che fecero gli Stati, e che si assunsero poi il compito di ‘fare’ i popoli forgiandoli nell’unità del diritto (eloquente D’Azeglio: “fatta l’Italia occorre fare gli Italiani”). Verità confermata dalla storia (Ruggero II, fondatore del Regno meridionale, espressamente sancì nelle sue prime leggi la volontà di unificare nel diritto la varietas populorum nostro regno subiectorum). Non più quindi “da un popolo, una Costituzione, ma da una Costituzione un popolo”. In conclusione questo saggio di Casavola è una miniera di riflessioni ed una preziosa summa di principi, vagliati nel filtro della storia, offerta a ogni cittadino pensante – ma specialmente a giuristi, politici e governanti – come bussola di orientamento nella selva delle questioni etico-politiche proprie del nostro mondo, atomizzato e globalizzato insieme.

Ortensio Zecchino



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